La nostra paura più profonda non è quella di essere inadeguati, ma bensì quella di essere troppo potenti.E’ la nostra luce, non il nostro buio che ci spaventa di più.Ci chiediamo “chi sono io per essere così fantastico, bello, pieno di talenti, favoloso?”Ma in effetti perché dovremmo non esserlo? Tu sei figlio di Dio ed il tuo sentirti incapace non aiuta il mondo.Non vi è nulla d’illuminante nel tuo sminuirti, per far si che chi ti circonda non si senta insicuro.Siamo nati per brillare, come fanno i bambini;siamo nati per manifestare la gloria di Dio che è in noi e non solo in qualcuno di noi , ma in ognuno di noi.E nel lasciare che la nostra luce brilli, permettiamo inconsciamente agli altri di fare altrettanto;E mentre ci liberiamo della nostra paura, facciamo si che a nostra presenza automaticamente liberi gli altri. Nelson MandelaQuesta frase è stata detta da un grande uomo che ha combattuto per i suoi ideali e per liberare la sua terra dall'oppressione...chiunque visiti il mio blog , se ne ha voglia, vorrei che lasciasse un commento su questa frase...
Il partito della Rifondazione Comunista è libera organizzazione politica della classe operaia, delle lavoratrici e dei lavoratori, delle donne e degli uomini, dei giovani, degli intellettuali, dei cittadini tutti, che si uniscono per concorrere alla trasformazione della società capitalista al fine di realizzare la liberazione del lavoro delle donne e degli uomini attraverso la costituzione di una società comunista. Per realizzare questo fine il PRC si ispira alle ragioni fondative del socialismo ed al pensiero di Carlo Marx. Si propone di innovare la tradizione del movimento operaio, quella delle comuniste e dei comunisti in tutto il novecento a partire dalla Rivoluzione d'Ottobre fino alla contestazione del biennio 68 -'69 e al suo interno, quella italiana che muovendo dalla resistenza antifascista ha saputo pur costruire importanti esperienze di lotta, di partecipazione e di democrazia di massa. I comunisti lottano perché‚ in Italia, in Europa, nel mondo avanzino e si affermino le istanze di libertà dei popoli, di giustizia sociale, di pace e di solidarietà internazionali; si impegnano per la salvaguardia della natura e dell'ambiente; perseguono il superamento del capitalismo come condizione per costruire una società democratica e socialista di donne e di uomini liberi ed uguali, nella piena valorizzazione della differenza di genere, dei percorsi politici di emancipazione e di libertà delle donne, nonché in difesa della piena espressione dell'identità e dell'orientamento sessuali; avversano attivamente l'antisemitismo e ogni forma di razzismo, di discriminazione, di sfruttamento. Il Partito della Rifondazione Comunista rigetta così ogni concezione autoritaria e burocratica, stalinista o d'altra matrice, del socialismo e ogni concezione e ogni pratica di relazioni od organizzativa interna al partito di stampo gerarchico e plebiscitario. E' consapevole dell'autonomia e della politicità degli organismi e delle associazioni della sinistra alternativa e dei movimenti anticapitalistici: con i quali quindi collabora e si confronta alla pari, ed ai quali partecipano i propri militanti in modalità democratica e non settaria. Il Partito della Rifondazione Comunista agisce per la reciproca solidarietà e la collaborazione tra le forze politiche e i movimenti anticapitalistici di tutto il mondo e coopera alle iniziative che tendono a raccoglierli e a costituirli in schieramento contro la globalizzazione capitalistica. E in sede, specificamente, di Unione Europea esso agisce per la costruzione di relazioni strutturate permanenti tra i partiti della sinistra antagonista, comunisti e d'altra matrice, e per l'associazione a questa costruzione dei movimenti e delle associazioni della sinistra della società civile. E' in questa generale prospettiva che il Partito della Rifondazione Comunista propone al complesso delle culture e dei soggetti critici e anticapitalistici gli obiettivi di un nuovo partito comunista di massa, di un nuovo movimento operaio e di un nuovo schieramento politico di alternativa.
XV - I SIMBOLI DEL PARTITO
Art. 65La bandiera del partito è rossa e reca, in colore oro, la stella, la falce ed il martello. Un nastro con i colori nazionali è legato all'asta della bandiera. II simbolo del Partito è così descritto:due cerchi eccentrici e tangenti internamente sulla destra. Il più grande a fondo rosso, in secondo piano, riporta nella porzione di cerchio visibile a sinistra, la scritta in bianco SINISTRA EUROPEA. Il secondo cerchio, in primo piano, è più piccolo e interno al primo, con fondo bianco e riporta: falce, martello e stella gialli sopra una bandiera rossa distesa ed inclinata a sinistra sormontato dalla scritta in nero PARTITO COMUNISTA, nella parte inferiore compare la scritta in nero RIFONDAZIONE. Le due scritte sono separate da due settori circolari verde a sinistra e rosso a destra che, con il fondo bianco, compongono i colori della bandiera nazionale.Gli inni del partito sono: L'Internazionale, Bandiera Rossa, l'Inno dei lavoratori. Nei territori in cui vivono minoranze etniche, linguistiche e nazionali, il simbolo e le scritte del partito devono essere plurilingue, così come gli atti ufficiali ove possibile.
VI congresso nazionale di rifondazione comunista, conclusioni di fausta bertinotti:Il percorso della rifondazione comunista:Vi chiedo e chiedo a tutti noi, cosa saremmo noi oggi senza quelle che sono chiamate le svolte, senza la rottura contro lo stalinismo, senza la scelta di Genova e il movimento, senza la critica del potere, senza la nonviolenza, senza la sinistra europea, senza la proposizione della sinistra alternativa ? Noi questo oggi siamo e questo è solo il passaggio di un viaggio, un viaggio che riceve attenzione e che , lo dico fuori da ogni possibile polemica, e con il massimo rispetto per le storie che ci hanno condotti fin qui, è anche sancito da una generazione politica che è cresciuta in questo percorso. Questo è il nostro viaggio. Io sento la stasi, l’immobilità, lo restare fermo come la morte della politica.Niki Vendola ha usato una formula da par suo: “noi siamo un partito non un restato”. E’ proprio così, restare è la morte della politica, è il trasformarsi in statue di sale.Procura paura il viaggio? Sì, inquietudine, incertezza del cammino e tanto più della meta. Ma, vi chiedo, non fa ancora più paura stare fermi? Noi ci muoviamo dentro un movimento e in questo movimento abbiamo ragionato.Ho sentito dire che avremmo in qualche modo lacerato anche questo movimento con il ragionamento sulla nonviolenza. Stare nel movimento è stata per noi una scelta importante, abbiamo rotto con una parte importante della nostra cultura e della nostra storia: l’idea del partito di avanguardia, del partito guida. E’ stato difficile, abbiamo scelto di stare nel movimento ma non di diventare muti, abbiamo scelto di stare nel movimento accettandone ogni risultante unitario oggi e domani, quello che il movimento nelle sue articolazioni decide è la nostra scelta, ma, contemporaneamente, noi dobbiamo saper far vivere un senso della ricerca da mettere in relazione a quel movimento. Non dobbiamo esserne una carta assorbente, avere un’opinione, una proposta, dialogare con loro e oggi questa tesi della nonviolenza è cresciuta, è entrata in questo rapporto, ne avete sentito l’eco qui, non in un discorso in cui mi tocca di ribadire le ragioni tante volte dichiarate, le avete sentite nella critica pratica all’esistente. Pensate a chi abbiamo incontrato su questa strada. Chi ha avuto la fortuna di essere qui, nella discussione sulla sinistra europea, ha sentito un uomo che ci ha affascinato nella sua ricerca e nel suo lavoro drammatico, Pippo Del Bono. Avete sentito il suo richiamo poetico delle parole che camminano e ci ha raccontato qui la storia che molti di voi conoscono, quella di Bobò, la storia di un uomo chiuso per 45 anni in un manicomio e liberato, tanto da diventare oggi uno degli uomini di teatro più famosi in Europa. Attenzione, non è la storia del successo di una cultura nella logica borghese, è la storia di una liberazione realmente praticata con una capacità di innovazione di ricerca straordinaria, è la possibilità che la politica pervada sfere che gli sembravano estranee, che entra nel teatro, ne modifica il linguaggio e produce questo scambio, questa osmosi, incontra un linguaggio politico diverso, incontra un linguaggio diverso quando qui senti due fratelli migranti riproporre la loro condizione. Li abbiamo incontrati sulle strade della lotta, li abbiamo incontrati nelle azioni e nelle testimonianze contro i centri di permanenza temporanea. Ci battiamo contro la Bossi-Fini ma, cari compagni e care compagne, non solo abbiamo l’orgoglio di dire ciò che facciamo bene (Genova, l’articolo 18…), ma quando sbagliamo diciamo che abbiamo sbagliato, noi vogliamo cancellare la Bossi-Fini non per tornare alla Turco-Napolitano perché siamo contro, oggi e domani, ai centri di permanenza temporanea.Costruire una nuova politica:
Camminare, imparare, correggere, costruire politica, imparare dai soggetti, e con loro andare avanti e magari incontrare per le strade di Terni e di Roma, come ricordava Roberto Musacchio anche a Strasburgo, i lavoratori di Terni, una lotta che sembrava disperata nella solitudine e che è stata estratta da quella solitudine grazie ad una sapiente conduzione sindacale e ad un impegno politico che ci abbiamo messo quasi da soli, con quella limpidità e portando però un contributo unitario affinché al Parlamento europeo non solo noi, ma perfino Tajani, votasse un documento a favore dei lavoratori e su quella base lavorare e costruire un risultato anche se parziale. Noi abbiamo condiviso quel risultato, abbiamo solidarizzato con il sindacato, non abbiamo fatto i saccenti dicendogli “ma il magnetico non c’è più” e tuttavia, nel momento in cui non abbiamo fatto i saccenti, diciamo che il magnetico perso a Terni è una sconfitta per la politica industriale del Paese ed ha ragione Ramon Mantovani a dire “Attenzione che al prossimo passaggio dell’Organizzazione mondiale del commercio, si discuterà di cose che hanno a che fare con Terni, che hanno a che fare con la Fiat, che hanno a che fare con il destino delle industrie italiane” e se noi non fossimo dentro quel movimento che assume quella scelta che è in grado di intervenire e di capire che a Cancun è avvenuta una cosa grande, tutti quelli di Terni non potranno mai vincere sul magnetico.Il rapporto tra il movimento, la politica, il sindacato, richiede un salto: le delocalizzazioni, la deterritorializzazione, la libera circolazione dei capitali producono un cancro che determina una corrosione della coesione sociale e questo produce un logoramento del potere politico e rischia di consegnare i lavoratori alla solitudine. Cari compagni e care compagne, con la testimonianza modesta di una vita intera spesa, non a favore degli operai ma insieme agli operai e alle loro lotte, io vorrei dire: noi staremo sempre dalla parte degli operai, ma non abbiamo nessuna intenzione di regalare per sempre il governo ai padroni! Stare con gli operai non vuol dire semplicemente appartenere, vuol dire contribuire a costruire le risposte alle loro lotte, vuol dire studiare, indagare la condizione operaia, vuol dire lavorare ed unificare i movimenti, intervenire sul potere, riproporre, a seconda degli andamenti delle lotte, grandi questioni.Posso dire che sono stupefatto, che di fronte a un fatto che tende a rovesciare nella cultura diffusa una tendenza che sembrava inarrestabile, quella delle privatizzazioni e della cancellazione dell’intervento pubblico, allorché questo partito pone con grande forza un tema che può diventare nell’agenda politica italiana dirompente, quello della costruzione di un nuovo intervento pubblico dell’economia, sembra che diciamo noccioline da mangiare la domenica. E’ questo rapporto tra il movimento e la costruzione gli obiettivi che ti fa incontrare i disoccupati organizzati a Napoli, incontrati in tutti questi anni anche in questo caso con grandi polemiche, perché i disoccupati organizzati erano un po’ eccentrici rispetto alla purezza del conflitto di classe; loro non erano mica operai e poi non erano neanche comunisti, anzi a volte persino venivano accusati di qualche collusione con le destre perché, quando si è disperati, non si sa bene che collocazione politica cercare. Con loro, però, ci siamo stati e abbiamo costruito partecipazione, organizzazione e lotta. Oggi i disoccupati organizzati sono divisi a Napoli ma tutte le componenti ci riconoscono una interlocuzione costante perché abbiamo lavorato con loro, perché non abbiamo solo gridato, abbiamo costruito obiettivi comuni. Sui corsi di formazione abbiamo aperto la strada e quando, il potere ha cercato di dividere (il potere in cui noi eravamo iscritti perché eravamo in giunta), noi non ci siamo fatti fermare dall’essere in giunta e abbiamo lavorato per ricomporre i disoccupati, costruire delle rivendicazioni comuni.Così abbiamo fatto sul salario sociale. Vi dice qualcosa la parola salario sociale? Anche qua certo rivendicazione è un po’ eccentrica perché, volete mettere la rivendicazione classica salariale? Il salario sociale, il salario di cittadinanza, robe del diavolo ! Stai parlando di persone che non lavorano e gli vuoi dare un soldo? E su quello hai costruito, invece, una mobilitazione e la Regione Campania ha realizzato, seppure in maniera spuria, la prima legge in Italia sul salario sociale, anche se non è ancora in compimento perché strangolata dal finanziamento pubblico. Su questa strada hai costruito il rapporto con quella gente e oggi andiamo avanti in questa battaglia, la stessa battaglia che facciamo da un po’ ad Acerra contro l’inceneritore.Ci siamo spesi con una radicalità assoluta. Lo sapete che stavamo in giunta con Bassolino e che Bassolino voleva l’inceneritore ad Acerra e che noi siamo stati con la lotta ad Acerra al punto tale che, quando siamo andati alle elezioni, il nostro compagno che guidava le lotte è diventato sindaco di Acerra ed ha dato una forza ulteriore a quella battaglia.E’ la nostra concreta realtà di cronaca che parla del nostro rapporto fra il movimento e la politica, non si tratta di mere enunciazioni ma di una pratica. Una pratica che ci coinvolge anche quando non ci riguarda direttamente come la straordinaria esperienza in costruzione del contratto unitario dei metalmeccanici tra Fiom Film e Uilm: una battaglia che ha visto la Fiom arrivare al successo su un punto difficilissimo, quello della democrazia dei lavoratori, della possibilità per i lavoratori di decidere con un referendum del loro contratto e della loro piattaforma e che costituisce un viatico per noi perché questo obiettivo entri nel programma dell’Unione, affinché sia garantita la democrazia ai lavoratori. Posso dire, però che, una volta guadagnato quel risultato, per la Fiom si apre un problema grande in quanto si presenta una piattaforma così importante quando la Fiat rischia la chiusura, quando, come diceva Giorgio ieri, alla Elettrolux ci sono i licenziamenti e quando i tuoi rapporti non si dispiegano con una potenzialità di vittoria immediata. Allora anche da quell’esperienza viene una domanda alla politica. Per chiedere alla politica di dare “lo sbocco”, come si dice in maniera assolutamente fuorviante? No, per chiederci un lavoro politico che costruisca una unificazione dei movimenti: il contratto dei metalmeccanici deve interessare il movimento della pace, deve interessare il movimento che chiamiamo no global, e deve costruire, per questa via, uno spazio politico e questo spazio politico si alimenta del fatto che, per arrivare a quella rivendicazione, devi battere le politiche delle destre e allora, a maggior ragione, la domanda di popolo di cacciare il governo Berlusconi deve diventare il tuo obiettivo vivente, forte, che accompagna queste lotte. Ti chiede, infine,infine, di piegarti a studiare, a capire, a fare l’inchiesta. Mao Tze Tung diceva che solo chi fa l’inchiesta ha diritto alla parola: non so in quanti ce la caveremmo se applicassimo questa formula.Ho provato a fare l’inchiesta in una lunga prima parte della relazione congressuale. Vorrei, non ora, che ci tornassimo sopra. Vedete io non capisco, davvero non capisco, cosa significhi essere comunisti se non si comincia dalla critica al lavoro salariato, non capisco cosa voglia dire essere comunisti se non si comincia dalla critica dell’accumulazione capitalista così come si manifesta nel tuo tempo, non capisco cosa voglia dire essere comunisti se non si ha la capacità di costruire una critica radicale al capitalismo nel tuo tempo, alle forme dello sfruttamento, dell’alienazione. Questo, però, chiede un grande sforzo. Noi abbiamo collocato questa ricerca in alto, sul suo rapporto con la guerra e in basso, sulla sua produzione di precarietà. Si può persino dire che ciò che è stata la parcellizzazione nei tempi del taylorismo, diventa la precarietà nei tempi del taylorismo digitale e dell’economia della conoscenza. La precarietà è la nostra insidia, non è semplicemente il fatto che vivi male, sei sacrificato, non hai un futuro, è il fatto che sei frantumato, disgregato; è il fatto che, attraverso questa via, è precisamente la tua capacità di aggregazione, di diventare coalizione, forza alternativa che viene messa in discussione in radice. La guerra in alto e la precarietà in basso sono le tenaglie del nuovo capitalismo senza spezzare le quali noi non costruiamo la liberazione .La questione del governo:
Ho sentito, in maniera francamente sconcertante, qualcuno leggere questa ipotesi con il suo contrario, non con una cosa un po’ diversa, proprio con il suo contrario cioè il patto fra i produttori. Ne ha parlato ieri da questa tribuna Giorgio Cremaschi in termini assolutamente ineccepibili. Come si fa ? Il patto tra i produttori pretendeva un’idea di crescita lineare se non interrotta e che questa crescita fosse il risultato produttivistico dello sviluppo industriale; che ci fosse una grande borghesia tendenzialmente progressista con cui contrarre il patto e questo diventava il patto tra i produttori. Ero in dissenso allora, perché non vedevo gli spazi, i margini e, in ogni caso soprattutto, perché si ledeva l’autonomia dei lavoratori e delle loro rivendicazioni.Oggi, questa proposta sarebbe semplicemente insensata perché non ci sono il produttivismo, l’industrialismo, la grande industria e non c’è la crescita. Oggi chi proponesse il patto tra produttori andrebbe ricoverato, il patto tra i produttori è quasi una sciocchezza, come dirci “governisti”. Anzi, quasi, “governisti” lo è di più. Si può dire “governativi”, uno si lamenta ma siamo su un piano di polemica politica. “Governista” è semplicemente insensato. Rivolgo un domanda, c’è qualcuno che si ricorda ancora la rottura con Prodi e chi l’ha fatta? “Governista” a chi ? Suvvia, discutiamo, discutiamo di politica ! Noi lo vediamo il pericolo, vediamo il pericolo che, in questa crisi, le destre, per niente sconfitte, possano rilanciarsi in una versione estremistica nel mondo e in Italia. La guerra imperiale americana è in crisi, non è sconfitta. In crisi vuol dire che sono possibili esiti diversi, che è possibile l’esito che da questa crisi le forze dalla pace impongano una soluzione che metta fine alla guerra, ma, in crisi, può anche voler dire che è possibile l’ipotesi sciagurata di cui Chenney ha già parlato, di una possibile escalation che, di fronte alla crisi, punti verso il conflitto di civiltà, verso l’aggressione alla Siria o all’Iran. Parliamo di possibilità, ma allora è precisamente in questa crisi che devi tentare di intervenire.Crisi come crisi interna. Le politiche neoliberiste sono fallite ma questo non vuol dire che c’è una rinuncia. Potrebbe esserci , come si vede nella vocazione del governo Berlusconi, un rilancio estremistico oppure un altro esito ancora. Una parte importante della borghesia italiana, ma non solo di essa, penso alla Confindustria, o una parte importante della gerarchia ecclesiastica, pensano che, di fronte al fallimento delle politiche neoliberiste e di Berlusconi, bisogna guadagnare un esito neocentrista moderato della crisi italiana. Non dico un patto tra i produttori perché non li faccio così ignoranti quanto, invece, la costruzione di una nuova coesione moderata di galleggiamento, di adattamento. Io ne vedo il rischio, anche se l’esito partitico non ne è alle porte perché il sistema maggioritario frena molto questo esito politico centrista. Le forze nella società tendono ad organizzarsi per questa via e il rischio che queste sirene becchino il sindacato confederale è un rischio reale e il rischio che queste sirene prendano una parte consistente del centro sinistra è un rischio reale. l’ipotesi neocentrista non è fuori dal novero delle cose possibili come esito della crisi della società italiana.Io penso che la aggraverebbe, ma questo non vuol dire che non sia un avversario pericoloso. Anche per questo, sento il problema di accelerare la costruzione di alternativa, per uscire da questo passaggio con un’ipotesi riformatrice. E’ entrato nel nostro dibattito, questo invece è chiaramente comprensibile e può anche essere il prodotto di un fraintendimento, il riferimento agli anni ’60.Non c’è nessuna volontà di imitazione del centrosinistra e la cosa più lontana poi è proprio quella della “stanza dei bottoni”. Un compagno qui ha parlato del riferimento del congresso di Venezia del ’57 del Partito Socialista Italiano. Credo che lo abbia fatto perché in quel congresso Pietro Nenni fu sconfitto e forse, pensando che io gli assomigli, era un auspicio che avvenisse anche qui qualcosa del genere. Ma, tra i due passaggi, non c’è alcuna relazione, l’unica similitudine è la profondità del passaggio. Sono scene radicalmente diverse, hanno un solo punto in comune: costituire un passaggio storico nella storia dell’Italia.Gramsci insegnava che nei passaggi storici può avvenire una rivoluzione passiva. Quando cambiano nel profondo la morfologia e la struttura della società, le psicologie diffuse, le culture, se nel passaggio storico non matura l’alternativa, l’egemonia delle forze dominanti può trasformare in una rivoluzione passiva quella modernizzazione. Negli anni ’60, l’Italia passava da essere un paese agro-industriale alla società dei consumi, a quello che veniva chiamato il neo capitalismo. Badate che però la possibilità di lettura non era così semplice neanche allora, perché nel Partito Comunista Italiano ci si divise tra chi pensava che l’Italia fosse il regno dell’arretratezza, come Giorgio Amendola, e che quindi bisognava portare a compimento una rivoluzione borghese incompiuta e chi, come Pietro Ingrao, diceva: no attenzione, noi siamo di fronte ad una modernizzazione capitalistica che non consente un’ipotesi riformista ma chiede un mutamento del modello di sviluppo. La condizione è completamente cambiata perché allora si trattava dell’evoluzione di una modernizzazione che lavorava alla integrazione della classe operaia nel sistema mentre oggi, al contrario, siamo di fronte ad una rivoluzione capitalistica restauratrice, che produce una regressione di civiltà e mentre là proponeva l’inclusione qui propone la sistematica esclusione di chi non serve all’accumulazione né nel lavoro né nel consumo. L’unica similitudine è che si tratta di passaggi storici e in questo passaggio storico noi abbiamo il compito di costruire l’alternativa di società.La grande borghesia imprenditoriale italiana non è certo ininfluente, sarebbe grottesco pensarlo: le sue cattedrali, le sue banche, le sue imprese, i suoi rapporti internazionali producono un’influenza molto grande. Non si può non vedere, però, che questa grande borghesia imprenditoriale è dentro un declino ed è in una condizione di sbando. Volete fare la prova di dire nomi e cognomi di grandi borghesi della produzione industriale del Paese, volete citare le grandi famiglie che nel triangolo industriale Milano, Genova, Torino hanno costruito l’economia di rapina sul Mezzogiorno, che ha prodotto in forme diverse la storia della crescita industriale del Paese ? Dove sono ? Qualcuno di voi ricorda cosa è stata la Fiat, cosa sono stati gli Agnelli nella storia dell’Italia, la loro capacità di fare e disfare a piacimento governi e sindacati, la loro possibilità di costruire un impero dentro la più grande industria del Paese, tenendo fuori la Costituzione ? Erano anni ancora segnati dalla Resistenza e dall’antifascismo ma in cui i comunisti, solo per avere preso la tessera della Fiom, potevano essere licenziati da Valletta senza nessun commento. Una Fiat che faceva come voleva, e che quando si è rivolta al centrosinistra, ha favorito il centrosinistra. Come diceva un grande padrone del vapore, Costa, sempre “amica del governo”, una cosa che ha persino portato a dire che ciò che andava bene per la Fiat andava bene per il Paese. Era una cattiva ideologia padronale, ma con una forza dentro. Dov’è questa borghesia oggi ? Proprio per questo, c’è il pericolo che la crisi diventi distruttiva per noi. I padroni hanno questa virtù: possono farti male quando vincono e possono farti male anche quando perdono. Rischi di prenderle quando vincono loro e di cadere sotto le loro macerie quando loro stanno perdendo. Perciò noi dobbiamo sottrarci e costruire, con le forze che crescono nel Paese, i nuovi lavoratori e i vecchi lavoratori, le forze di in territorialità, i nuovi settori e le nuove aree, una forza e un cimento capaci di una egemonia in un Paese in crisi. I cambiamenti intervenuti in questi anni:
Cambiare, la grande riforma. Per realizzare questo nuovo corso, certo è evidente, devi influenzare uno schieramento largo. Dov’è il problema se non di come si fa questo condizionamento ?Io trovo sconcertante che non si veda da alcuni settori del partito ciò che vedono tutti, cioè quanto è cambiata l’Italia e il mondo dal primo governo Prodi ad oggi. E’ cambiato tutto, c’era il centrosinistra mondiale da Clinton a D’Alema, un centrosinistra che accompagnava ciò che Le Monde Diplomatique chiamava il pensiero unico, e chi era fuori era solo un irregolare, dei testardi “rompicoglioni” come noi che difendevano le ragioni di un’alterità, di una resistenza, in nome di una storia e anche di una speranza. Il mondo, però, andava in un'altra direzione. Mi sbaglio, oppure alla fine del secolo scorso la partita era considerata chiusa e vinta dal capitalismo per sempre ? E in Italia il centrosinistra era pressoché l’asso piglia tutto della realtà politica italiana, e la situazione del Paese era una situazione senza conflitto sociale e i protagonisti del conflitto sociale erano segnati da quella stasi. Avete sentito l’empatia con cui ho parlato della Fiom fin qui. Vorrei ricordare, e lo dico con pieno rispetto, che, quando rompemmo con Prodi, dalla Fiom venne un pullman per dirci a Roma che non dovevamo rompere. Lo dico solo per dire quanto è cambiata la situazione. Come fate a non vedere che il centrosinistra materiale è totalmente cambiato, che i suoi riferimenti sociali sono da un’altra parte, che la Fiom, l’Arci sono oggi una potenza di vita democratica di questo Paese ? L’Arci di Tom Benetollo, l’Arci di questa storia, compagni di strada. Ma come fate a non vederli e a non vedere l’influenza che esercitano ?Voi guardate solo a Fassino: ma guardate, invece, queste realtà, che sono i nostri compagni di strada.Quando rivendicammo le 35 ore, e non si scherzi su queste cose, ne parleremo in altre occasioni e in ogni caso in Francia la sinistra francese e i lavoratori si mobilitano per difenderle, e per un passaggio acrobaticamente persino le ottenemmo in un incontro con il governo, sapete che avevamo contro? Le organizzazioni sindacali Cgil Cisl e Uil ! E’ cambiato il mondo, sono cambiate le relazioni. Oggi se voi vi guardate agli ultimi mesi e fate l’elenco degli scioperi non c’è parte della popolazione lavorativa che non abbia scioperato: gli insegnanti in battaglie straordinarie sulla scuola, con lo spostamento di culture, il sindacato scuola della Cgil che stava con la riforma Berlinguer oggi militando contro la riforma Moratti, sta anche contro quella riforma. Poi avanti, lo sciopero del pubblico impiego, le battaglie del sindacato industriali e poi tanti scioperi. Hanno scioperato persino i magistrati che non sono così vocati allo sciopero in Italia. Scioperano, cambia la posizione dei lavoratori e dei sindacati, c’è stato lo sciopero generale, uno, due, tre scioperi generali (ne avessero fatto almeno uno con il governo di centrosinistra di Prodi staremmo meglio tutti).Ma quanto è cambiata questa realtà ! Voglio dirlo già oggi: nel caso vincessimo e sconfiggessimo Berlusconi e fossimo al governo, se ci fosse uno sciopero, lo considererei un elemento dinamico della società italiana.La critica del potere:
Sì, anche perché c’è un problema e un pericolo. L’atteggiamento a volte insultante di una parte delle minoranze non mi nasconde il problema: c’è un rischio reale quando vai al governo. C’è il rischio di trasformarti in un partito ministeriale, è un rischio reale non hai anticorpi garantiti, i processi di contaminazione del potere sono molto forti, prendono delle forme non volgari, a volte prendono delle forme nobili, la difesa di una condizione conquistata di influenza, il rischio che avvenga peggio, l’affermarsi della cultura del meno peggio, il realismo della “real politik”. Vedo bene questi pericoli, anche se non è per questa ragione che confermo che non farò mai il ministro di una compagine governativa. Non lo farò mai per una ragione che riguarda la mia vicenda personale, non per una ragione di avversione. Penso, infatti, che, se il programma verrà guadagnato, se avremo sconfitto Berlusconi, se apriamo una speranza, il partito deve assumersi tutte le responsabilità. Ho un fastidio per le scorciatoie che vengono proposte. Poniamo che invece vinciamo e non andiamo al governo, lo appoggiamo dall’esterno? Poniamo di fare così delle due l’una, o questi compagni pensano che sarebbe bene che noi fossimo ininfluenti cioè contiamo poco, oppure, se invece fossimo influenti, qual è la differenza il giorno che quel governo non ti piace ? Cosa fai, perché sei fuori, lo metti sotto e vai alle elezioni e che differenza fa se sei al governo o non sei al governo ? Da questo punto di vista la tua responsabilità nei confronti del popolo e del Paese è la stessa, devi farla valere assumendoti sino in fondo la tua responsabilità. E prova a fare i conti con questo rischio di diventare ministeriali, prova a sottrarti con una cultura politica e con dei comportamenti. Quando di fronte ad una scelta del governo Lula in Brasile, per l’accettazione degli organismi geneticamente modificati, c’è stata una manifestazione contro e una sua ministra dell’ambiente ha manifestato con coloro che protestavano, io ho pensato”è una cosa buona, quello è un elemento di salute”. C’è una possibilità: noi dobbiamo far crescere un’idea di autonomia dei movimenti e anche del partito nei confronti del governo. Il partito non deve identificarsi con il governo, deve avere una sua linea una sua politica che trascende il governo, deve far valere interamente la sua capacità di progetto della società. Il governo, anche il migliore, è un passaggio un passaggio di compromesso. Il partito deve essere in grado di illustrare la sua strategia, il suo andare oltre, la sua capacità di comprendere quel compromesso in un’altra crescita più grande. Per questo, autonomia e democrazia, autonomia dei movimenti, dei sindacati, del partito come motore del processo di riforma.Il programma:
dChe non siano chiacchiere ve lo dice il modo in cui abbiamo pensato il programma. C’è forse qui, compagne e compagni, il dissenso più serio e più grave tra di noi. Io penso che l’idea che noi abbiamo fornito della costruzione del programma sia un’idea innovativa, coraggiosamente innovativa, sia un’idea che trae la sua origine proprio da questa esperienza dei movimenti, dalla storia di questi nostri anni che è venuta a compimento. Parlo della storia dei “paletti”. Vedete, compagni e compagne, si tratta di un linguaggio sindacale quanto altri mai, lo avrò usato un milione di volte, sono aduso all’argomento ed al linguaggio. L’abbiamo praticata ad occhi aperti, consapevoli dei rischi, nell’esperienza del governo Prodi. La prima ragione di quello che ci è stato rimproverato come un rapporto negoziale di contrattazione è che c’erano due entità totalmente tra loro separate: il centrosinistra da un lato, centrosinistra organico senza divisioni interne, compattissimo e Rifondazione Comunista dall’altro, così distanti da essere andati alle elezioni con due programmi diversi mai confrontati tra loro. Vinciamo le elezioni e, a confermare che alle responsabilità non ci si sottrae, noi appoggiamo dall’esterno il governo Prodi perché altrimenti saremmo andati a nuove elezioni e io avrei voluto in faccia quello che le avesse proposte agli italiani. Non contrattiamo il programma, non entriamo al governo, non chiediamo per noi un posto di ministro di sottosegretario, neanche di usciere della Rai, ragione di cui meniamo vanto. Non abbiamo chiesto nulla, caso senza precedenti nella storia della Repubblica, e abbiamo praticato la vicenda dei “paletti”. Dato che il programma era il loro e non il nostro e c’era la desistenza, abbiamo dovuto appoggiarli ed abbiamo avviato una negoziazione di volta in volta. Ecco perché sei caduto in errori come quelli della Turco-Napolitano, non ce la facevi a condizionare l’intero corso del programma. Ma tu cercavi di frenarli e di mettere dei paletti. Quali? Quelli sociali, che erano più legati alla nostra collocazione nella società: le pensioni, la difesa del potere d’acquisto, la riduzione dell’orario di lavoro con quella forza che si esprimeva di critica alla condizione esistente in quel periodo. Come si è visto, quei paletti non hanno retto perché ad un certo punto si è prodotto un bivio: bisognava scegliere tra politiche sostanzialmente neoconservatrici e politiche di trasformazione e, raggiunto l’ingresso dell’Italia nell’euro, il bivio si è aperto. Oggi noi siamo in una condizione completamente diversa: la nostra ambizione non è quella di rimanere parenti poveri, accettati da una maggioranza compatta con la quale scambiare dei paletti per essere riconosciuti. Noi oggi abbiamo l’ambizione di influenzare il programma complessivo del governo di opposizione e di alternativa. E così ci siamo mossi e non è che lo diciamo, lo abbiamo fatto. Trovo singolare che ci sono dei compagni che non vedono le costruzioni di programma che abbiamo fatto, questo programma è un accumulo di cose, di movimenti, di iniziative, la scelta dell’obiettivo. Ne parlavo poco fa, il salario sociale. Nasce da un dibattito teso nel movimento operaio. C’è chi dice: attenzione che è una trasgressione, così voi in qualche modo accettate per sempre la disoccupazione, e invece bisogna tenere una condizione che non riconosca il salario di cittadinanza. Si sviluppa, però, un rapporto tra l’area dei disoccupati e il movimento operaio, si conquista questo obiettivo, facciamo una lunga marcia per il lavoro nel Mezzogiorno d’Italia, e cresce, comincia a crescere questa idea del salario sociale e poi converge con un’area di movimento più radicale, quella delle autonomie, e poi c’è una contaminazione, diventa quella una realtà sociale grande come quella di Napoli e così si sperimenta un passaggio in Campania in cui questo obiettivo viene, se pur parzialmente, incalzato e diventa più grande e allora io mi dico questo è un elemento di programma che se domani come in un sogno Niki Vendola vincesse in Puglia, allora Puglia e Campania che si associno possono costituire un capitolo nuovo nella storia del Mezzogiorno d’Italia, una vera e propria rinascita che passa da questa accumulazione, che parla il linguaggio di una nuova società che si impone non nell’attesa della vittoria contro Berlusconi ma nella pratica nella conquista delle condizioni per abbattere Berlusconi e la sua politica. Pensate che occasione sarebbe per il Mezzogiorno, liberato dalle satrapie meridionali, da questi vincoli drammatici tra le organizzazioni malavitose e il territorio, uno spazio, non più una speranza o un sogno, ma una chance concreta in cui quell’elemento lì che ci hai messo dentro è che è il salario sociale diventa la possibilità di una conquista per tutto Mezzogiorno.Una conquista che parla il linguaggio dei giovani che dice loro: sottraiti alla camorra perché qui ci hai un soldo per battere la tua strada e io ti do una mano e costruiamo insieme nuove occasioni sociali. Queste Regioni le costruiscono con il rapporto con il territorio e quella battaglia che viene fatta a Napoli, nei confronti del governo in cui stiamo dentro, contro la privatizzazione dell’acqua incontra la Puglia, dove questa battaglia oggi ha già nel programma scritto il carattere pubblico dell’acquedotto barese. Questo può diventare un altro pezzo della nostra storia, di liberazione della terra, dell’acqua, del cielo dall’oppressione capitalistica.Cosa chiamate questo se non programma ?Il programma nasce così, invece che un paletto, diventa, per questa strada, secondo l’antica formulazione di Engels, “una bandiera piantata nella testa della gente” e non perché gliela piantiamo noi, perché se la prendono loro la bandiera e sale questo processo, incontra l’Unione ed entra nell’Unione. Non perché, quindi, Fausto Bertinotti lo implora nei confronti di Prodi, ammiccando con Fassino ma perché entra dalla Campania, dalla Puglia, dai movimenti e noi ce ne facciamo portatori per costruire così il programma del popolo delle sinistre,el cambiamento e dell’Unione.Il movimento per la pace:
Così, cari compagni e care compagne abbiamo costruito il programma sulla pace. Come fate a non vedere che è largamente costruito ed è avvenuto in Italia uno spostamento gigantesco di culture, di opinioni. Pensate alle divisioni drammatiche di qualche anno fa, agli scontri persino fisici, pensate a cosa si è costruito dentro il crescere di una cultura. L’emergere di una rivendicazione, il ritiro delle truppe italiane, come ricordava ieri Franco Giordano, è entrata nelle risoluzioni di tutte le opposizioni perché prima è stata costruita in tutti i movimenti, poi è stata costruita non isolatamente, ma tra noi e una parte importantissima del centrosinistra, tanto che alla Camera e al Senato, è vero Gigi è vero Franco, avete costruito dei raggruppamenti di diverse forze politiche e tra diverse forze politiche, portatrici della rivendicazione di pace e di ritiro delle truppe italiane. Così siamo arrivati a far sì che, quando si è presentato un documento, la richiesta del ritiro fosse presentata da tutti, non perché abbiamo fatto una trattativa verticistica, ma perché il movimento ha influenzato il corso delle cose e perché dei soggetti politici unitari se ne sono fatti portavoce. E siamo stati ben attenti, quando maliziosamente dicevano: “è Bertinotti che influenza Prodi”, a dire, come è vero, che si trattava di una sciocchezza. In realtà, è il movimento che pervade queste culture e le pervade anche perché c’è una parte della cultura cattolica che è profondamente interna nei movimenti e, per un’altra parte, profondamente influenzabile da questo corso. Vorrei ricordare che appartiene, non alla cultura della teologia della liberazione ma alla storia del cattolicesimo democratico italiano anche di governo, la storia di Dossetti e di La Pira, profeti della pace e del Mediterraneo. Così, siamo riusciti a collocare l’iniziativa per la pace e per il ritiro delle truppe in un movimento grande, quello che il New York Times, come ricorderete, ha chiamato la seconda potenza mondiale. Così l’Italia è diventata l’Italia dell’arcobaleno, l’Italia dei movimenti ed ha espresso questa egemonia, quella che si vedeva alla Perugia-Assisi, alle molte manifestazioni, che è diventata popolo e iniziativa fin dentro le istituzioni. Ma, “ dentro le istituzioni” non ha pregiudicato per nulla le iniziative più radicali. Mentre si costruiva questa influenza, noi, non solo non abbiamo rinunciato alla parola d’ordine (sarebbe stato poco) del ritiro delle truppe ma abbiamo fatto con i nostri giovani il “train stopping”, abbiamo fermato i treni che portavano le armi, abbiamo praticato la disobbedienza della pace contro la guerra e siamo cresciuti e la nonviolenza è entrata non solo nell’azione pratica ma nella politica e se oggi le due Simone sono libere, cari compagni e care compagne, un po’ abbiamo contribuito anche noi con quella posizione che da qualcuno, anche di noi, è stata considerata un arretramento, un tradimento ed era invece la salvezza delle due Simone e la vittoria del partito della pace. Ho sentito considerare la fiaccolata per le due Simone, quella guidata da tre uomini di chiese diverse cristiane, islamiche, ebraiche, una cosa che c’entrava poco con la politica. E’ un’obiezione che ho risentito nei confronti di 500mila persone che manifestavano per liberare Giuliana. Così non si capisce niente, così non si capisce né come si costruisce il programma né come si costruisce cultura politica, non si apprezza neanche posizioni come quelle che invece ci hanno profondamente emozionato, quella dei familiari di Giuliana, del suo compagno Pier Scolari, del Manifesto, che sono state manifestazioni di grande politica, non semplicemente una capacità di stabilire dei rapporti umani, ma di essere dentro appunto questi grandi processi, ognuno per la sua parte. Ecco perché sappiamo guardare a come ci si possa sottrarre alla spirale guerra-terrorismo.
Ieri sera sono stata con i miei friends in giro in centro a firenze, vestiti in tema...avevamo una zucca, un morto, wollace, una non morta, una streghetta, e poi io che non era molto definibile, o una strega o una vampira...insomma una cosa del genere!!! Abbaimo girato in cemtro con le straniere che urlavano ad Andrea "HY PUMPKINS!!!" , e a Marco " WOLLACE; WOLLACE...ma ce le avrà le mutande?!", e a vedere le mucche che io vedo tra l'altro quasi ogni giorno, andando in facoltà in centro, e che sinceramente non è un tipo di arte che non riesco a capire...se non sono "anticaglie" non mi affascinano...Questa strana arte moderna...Oggi sono qua in casa con un malditesta allucinante per il tempo, e per il troppo pensare...ma non riesco a non pensarci, è più forte di me, so già lucy quando leggerai questo post che ti arrabbierai perchè dirai che dovrei ascoltare i tuoi consigli, ma lo faccio ti giuro che stavolta lo sto facendo davvero, ma immancabilmente mi ritrovo a pensarci, lo so mi faccio prendere troppo dai sentimenti e dalle emozioni, le vivo troppo e le amplifico, che situazione orrenda...mi sembra di essere ritornata una ragazzina, infatuata di qualcuno con cui non avrei il minimo futuro... ma passerà giusto?! tanto è solo una infatuazione che passerà come le altre da un anno e mezzo a questa parte...tanto non riesco più ad innamorarmi, da quando mi ha lasciata...non mi fido più, ho voglia di innamorami ancora, ma non ci reisco il mio cuore si rifiuta...non volgio più essere presa in giro...
- I'm marty
- From sesto fiorentino, firenze, Italy
- che dire di me?! sono una sognatrice, perchè secondo me i ricordi come i sogni sono il motore che ti fa andare avanti...vivo sempre con la testa fra le nuvole, sono una persona testarda che sa quello che vuole, e pur di ottenerlo fa mille sacrifici, credo nelle persone e non so se questo è giusto o sbagliato, credo nell'amore vero so che esiste perchè già una volta l'ho provato ed è l'esperienza più bella che un individuo può provare, perchè anche quando finisce i ricordi che ti rimangono non hannno prezzo...questa sono io co i miei mille difetti, e incicurezze ma non mi cambierei con nessun altro al mondo...
Il Mio Profilo